“Posologia Umana”
3333 d.c.
L’artista con l’installazione “Posologia umana” inscena il laboratorio di un grande gigantesco ordinatore, una sorte di demiurgo senza tempo che ha finito l’esperimento del mondo e dell’umanità che si è spinta sino all’autodistruzione. Dopo avere estratto tutto il gas ed il petrolio dalle viscere della terra, gli oceani e tutti i mari prendono fuoco, e si fossilizzano diventando marmo nero del Belgio e le terre emerse si pietrificano diventando pietra occhio di tigre. Il mondo scoppia e si apre in due. L’uomo è già parte fossile del tutto con la sua storia ed i suoi tempi. Il grande ordinatore avrà finito il suo esperimento e guarda tutto dalla sua prospettiva galattica. La quadratura del cerchio che rivela una galassia rinchiusa nel suo laboratorio che è possibile sbirciare dagli oblò disposti come in numeri di un grande gioco dei dadi. Accanto l’Europosaurus, una sorta di grande dinosauro composto da 16 vertebre e 17 bacini rappresentati da micro sfere armillari (opera simbolo di Rosa Mundi) e da 17 valigie in vetro ed in marmo a significare le 17 ere della vita dell’uomo sulla terra repertoriate dal grande ordinatore demiurgo: 14 in vetro e 3 in pietra, ossia in marmo nero del Belgio (100 % petrolio) e in marmo verde del Guatemala ( composto da vegetali fossili).
La fine del mondo lo scoppio finale quando tutto sarà fossile e pietrificato
marmo nero del Belgio e pietra occhio di gatto. Sullo sfondo la città simbolo di Palmyra riproposta da Rosa Mundi attraversata dal muro del tempo e dalla parte posteriore di un cavallo arabo che lo attraversa.
59° Biennale Arte di Venezia
Padiglione della Repubblica di San Marino
Rosa Mundi : Itinerario dalla distruzione alla nascita di Angela Vettese
Rosa Mundi ci propone una visione filogenetica e ontogenetica del mondo e dell’individuo. Per fare questo, chiude o piuttosto comprime in una stanza-scrigno una serie di sculture ambientali e oggettuali, dipinti fluorescenti che contengono frammenti di medusa, libri stoccato come memorie inattingibili ma presenti del sapere. Prende corpo così la sua personale riflessione sullo stato del pianeta e sul destino dell’uomo, con un eclettismo tecnico che privilegia i materiali tratti dalla natura.
All’ambiente, dall’andamento volutamente labirintico e capace di unire in modo paratattico una molteplicità di opere, si accede avendo sulla propria sinistra una sorta di micro-deposito con materiali svariati e ferri del mestiere: un bagaglio materializzato della memoria personale e collettiva. Di fronte sta il ritratto di Rosa Mundi di Federico Bonelli, il protoquadro legato alle maree di Venezia e della Normandia che sono i luoghi dove l’artista si è formata.
Subito dopo ci si trova nell’opera 3333dc: un cubo di marmo nero del Belgio, materiale privilegiato in quanto composto di petrolio e zolfo, al cui centro sta una sfera appoggiata su di una colonna cilindrica. La sfera così posizionata propone, grazie al suo materiale, una memoria della vita da cui nasce e anche il suo stato ormai fossilizzato, quindi inadatto ad accogliere vita nuova: rappresenta infatti la Terra e il suo possibile destino di luogo reso inospitale dallo sfruttamento umano. I continenti vengono rappresentati da superfici di pietra Occhio di Tigre, in contrasto con gli oceani neri, a mostrare il pianeta come un globo crepato, esausto e reduce da uno scoppio. Ciò che c’era prima dell’esplosione, o forse ciò che vorremmo ci fosse ancora, compare in un nastro dipinto all’interno del cubo contenitore sul cui si svolgono immagini surreali, pacificate e inquiete allo stesso temo,, tra cui riconosciamo un cavallo arabo e il tempio di BAAL a Palmira. Sono segni di libertà e creatività perdute o aspirazioni a cui abbiamo ancora diritto? L’opera di Rosa Mundi non è solo assertiva, è anche connotata da molti dubbi e, nella sua multiformità, dalla convinzione che non ci sia un destino unico ma molte strade tra cui scegliere. .
Proseguiamo. Dopo avere esplorato e abbandonato il volume sacrale in cui una sfera si inscrive dentro un cubo, rendendo omaggio geometrico sia alla fattività della natura che all’intelligenza umana, pur nello scenario di una futura possibile distruzione totale, troviamo alla nostra destra un muro di finestre carbonizzate dentro le quali fluttuano meduse, esseri invertebrati e ossa di scheletri in corso di metamorfosi, tutti immersi in un liquido amniotico che le culla. La vita forse può sparire, o forse potrebbe resistere nei recessi in cui l’uomo nn la contamina.
Segue un piccolo spazio chiuso da un muretto, in cui un immaginario contemplatore può vedere, seduto in poltrona, il paesaggio di Gibellina, in forma di doppio omaggio al Cretto di Alberto Burri, al senatore Corrao e al Museo della Fondazione Orestiadi, che tanto hanno fatto per quei luoghi. La pausa dentro al recinto è in effetti un tributo a chi sa, nel quotidiano e nella storia, lavorare perché alla distruzione seguano anche atti di guarigione: sono molte le persone e le organizzazioni che hanno agito in Sicilia per la rinascita dai suoi traumi. Non siamo vittime di un destino ineluttabile, anzi, possiamo agir e qualsiasi fatalismo è imperdonabile.
Al centro dello scrigno espositivo si trovano le 17 valigie attraverso cui Rosa Mundi rappresenta la vicenda dell’uomo come essere in transito costante, da un passato di pietra a un futuro di metamorfosi, verso uno stato sia di macchina che di animale: l’Homo sine homo, forse quel cyborg sapiente di cui ci parla nei suoi testi visionari la filosofa Donna Haraway. Una tappa dopo l’altra, vediamo scorrere le sculture-valigia denominate che raccontano dell’inizio (Hominide in marmo con fossili ), dello sviluppo cognitivo (Homo Sapiens), della ricerca di spiritualità (Homo deorum) fino alla definizione di religioni specifiche (Homo filius dei), e ancora alla ricerca di strutture abitative stabili ( Homo vitruvius), di una relazione con la natura (Homo vegetalibus in marmo del guatemala, 100% vegetale), di una più facile trasmissione del sapere attraverso la stampa e altri messi (Homo Gutenberg), di una centralità del fabbricare come mezzo per modificare la natura medesima (Homo faber) fino alla volontà di conquista (Homo bellicum) e alla sua possibile fine in uno stato di distruzione della vita stessa (Homo petrolium) preceduta dai vantaggi, dall’iperstimolazione fisica e mentale e dai pericoli dell’età tecnologica (Homo ubiquity, Homo electricus, Homo imago, Homo vaccinum). Queste 17 valigie disegnano la spina dorsale della storia umana, fotografandone le ere, come bagagli che restano ancora attivi anche quando apparentemente superati: la froma-valigia racconta appunto la mobilità non solo della nostra storia di singoli o di collettività, ma la sopravvivenza di ciascuno stadio anche dopo che sia stato, in apparenza, superato da altro. Tre valigie sono di pietra, le altre di materiali tecnologici recenti. Ma tutte sono contemporanee a noi che le guardiamo e a se stesse, nonostante vogliano raccontare una storia che si srotola dentro il tempo.
Chiude la mostra, ultimo sguardo verso le finestre, l’opera più antica tra tutte quelle prescelte e quindi non realizzata per questa occasione espositiva: un quadro eseguito trent’anni or sono che congiunge la tela con i ferro, i pigmenti naturali con quelli chimici ma soprattutto il maschile e il femminile in un incontro erotico che è anche momento cosmico, nascita della nascita, speranza che contraddice le predizioni di morte. L’itinerario della visita si chiude e ripassiamo forzatamente davanti a una morte annunciata, ma non senza l’avvertimento che, nei recessi abissali dell’amore così come degli oceani, c’è ancora un foro, una fallla, un pozzo in cui penetrare per agire e sperando.
Homo Digital
METAMORPHIC POSTHUMAN by James Putnam, London, April/2022
Rosa Mundi’s project Metamorphic Posthuman is a complex and carefully articulated installation that includes a number of separate yet related elements with evocative titles. The overarching aim is to demonstrate the folly of mankind’s dominating instinct proposing that it should return to its original place, as an integrated rather than a superior part of nature. It also seeks to point out how powerless we are compared to the forces of nature in the wider universe. The art works are arranged as if to represent the imaginary study of a superior being who is contemplating all the various epochs of mankind. These are categorised via the metaphor of 17 transparent suitcases cataloguing humanity’s passage through time with the gradual transition from herbivorous mammals to Homo sapiens. They represent this journey through the various epochs with humanity’s disreputable ‘baggage’, composed of natural and artificial materials, enclosed within the suitcases. The final one represents mankind’s extinction in which is displayed a fictional mechanical rabbit in an upright position. The suitcases are arranged in the configuration of a dinosaur skeleton, hence the title Europasaurus/ European dinosaur. Above the suitcases are placed 15 small spherical astrolabes that represent a parallel vertebral column of humanity’s history and its relationship with the universe.
The dominant motif in Metamorphic Posthuman is the armillary sphere or spherical astrolabe, which is one of the defining characteristics of Rosa Mundi’s fertile imagination with her installation ‘Sfere Armillari 22’. Dating back to ancient times the armillary or spherical astrolabe is an astronomical device for representing the great circles of the heavens with a central sphere symbolizing either the Earth or the Sun. She has created her own unique version, consisting of three elliptical iron circles, set one inside the other, made from recycled iron from old, disused wine barrels from a Castle in Piedmont.
Mounted within the armillary are glass panels with a recycled plastic coating on which she paints a series of images using a special paint she has developed comprising tempera with natural pigments, mixed with an organic material extracted from beached jellyfish from the Venetian lagoon They also include texts written in ancient languages. The installation is accompanied by a soundscape with the noise of humanity merging with the pulse of the earth. Her work expressing the Big Bang theory, entitled 3333 A.D. is symbolised by a cube of Belgian pure black marble with a mirror-like polished finish
Metamorphic Posthuman is about the evolution and extinction of humanity set against the geological timeline from the earliest epoch to what is currently defined as the Anthropocene. It blurs the boundaries between painting, sculpture and installation demonstrating that art can provide a more sensual alternative to provoke thoughts and emotions about our endangered planet than reading the statistics presented by scientists, politicians, and environmentalists. One of the biggest problems in modern society is the belief that we’re separate from rather than part of nature. She acknowledges this dilemma and centres on the recognition that we have entered into the Anthropocene where human activities are upsetting the delicate balance of nature. Her ambitious multi-disciplinary installation employs the critical device of metaphor and touches on aspects of astronomy, anthropology, geological time and philos, ophy. Her works address the future yet retain a 19th century fascination for the wonders of nature with a meticulous attention to detail and an appreciation of the intrinsic quality of the materials she uses.
(1000 Characters version)
Metamorphic Posthuman is about the evolution and extinction of humanity set against the geological timeline from the earliest epoch to what is currently defined as the Anthropocene. It blurs the boundaries between painting, sculpture and installation demonstrating that art can provide a more sensual alternative to provoke thoughts and emotions about our endangered planet than reading the statistics presented by scientists, politicians, and environmentalists. One of the biggest problems in modern society is the belief that we’re separate from rather than part of nature. She acknowledges this dilemma and centres on the recognition that we have entered into the Anthropocene where human activities are upsetting the delicate balance of nature. Her ambitious multi-disciplinary installation employs the critical device of metaphor and touches on aspects of astronomy, anthropology, geological time and philos, ophy. Her works address the future yet retain a 19th century fascination for the wonders of nature with a meticulous attention to detail and an appreciation of the intrinsic quality of the materials she uses.